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L'Interrogazione di Di Pietro sul caso di Pino Masciari |
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Lo scorso 6 ottobre l'associazione Amici di Pino Masciari ha chiesto alla Commissione Centrale, al Servizio C.le di Protezione e alle forze dell'ordine maggiore protezione per il testimone di giustizia Pino Masciari.
L'associazione vicina a Masciari ha denunciato che nei recenti viaggi
in Sicilia, a Roma, Bergamo,Torino, Bologna, Milano “gli incontri, che
erano stati preventivamente indicati alla CC e che erano pubblici, non
sono stati presidiati dalle forze dell'ordine, né tantomeno Pino
Masciari è stato contattato perchè ciò avvenisse”.⨠“Abbiamo assistito
a sporadiche e fugaci apparizioni di forze dell'ordine giunte per
verificare la presenza di Pino Masciari – hanno scritto i
rappresentanti dell'associazione – tuttavia senza assicurarsi di
persona di ciò e abbandonando subito il luogo delle conferenze: a
dimostrazione che è da escludere l'intenzione di garantire la sicurezza
di Pino e noi, suoi amici che portiamo avanti l'azione di difesa
popolare, ne siamo testimoni insieme a tutti i cittadini presenti. Non
siamo e non dobbiamo essere noi i responsabili della protezione di
Pino: questo è dovere, obbligo e competenza della Commissione Centrale
che dà direttive al Servizio C.le di Protezione, il quale a sua volta
dispone le forze dell'ordine sul territorio”. Quattro giorni dopo l'On.
Antonio Di Pietro ha presentato un'Interrogazione parlamentare al
sottosegretario agli Interni On. Alfredo Mantovano in merito alla
vicenda di Pino Masciari e a tutela di tutti i testimoni di giustizia.
Dopo una riflessione sulla questione se il ruolo del testimone di
giustizia sia ancora un ruolo ritenuto importante dallo Stato e se al
cittadino convenga o meno fare il testimone di giustizia, il presidente
dell'Italia dei Valori ha chiesto espressamente di sapere se esista
“una discrasia tra ciò che le carte dicono che deve essere tutelato e
ciò che di fatto è: ovvero che ancora oggi Masciari è senza scorta
quando si sposta non per motivi di servizio”. Immediata la replica di
Alfredo Mantovano che, dopo vera ammesso come “per troppo tempo, circa
un decennio i testimoni di giustizia sono stati considerati alla
stregua dei cosiddetti pentiti, con profonde ferite della dignità
personale unitamente a gravi disfunzioni operative”, ha ripercorso
tutte le tappe del caso di Pino Masciari. Il sottosegretario agli
Interni ha confermato l'esistenza di una tutela per Masciari senza però
dipanare del tutto quelle “discrasie” citate da Di Pietro. Nel
frattempo tutti i testimoni di giustizia chiedono a Mantovano leggi
adeguate a loro tutela e soprattutto uno Stato che non li abbandoni
dopo averli utilizzati. L. B.
Info: http://www.pinomasciari.org/"www.pinomasciari.org
L'Interrogazione dell'On. Antonio Di Pietro e la risposta del sottosegretario agli Interni On. Alfredo Mantovano
La tutela dei testimoni di giustizia
PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di illustrare la sua
interpellanza n. 2-00162, concernente iniziative anche di carattere
normativo per tutelare tutti i «testimoni di giustizia» e misure per
incentivare le testimonianze delle persone offese dai reati commessi
dalla criminalità organizzata.
ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, prima di aprire la tematica
dell'interpellanza urgente vorrei ringraziare e scusarmi con il
sottosegretario Mantovano, perché in effetti, per una questione
tecnica, si poteva e forse si doveva svolgere questa interpellanza la
settimana prossima, ma proprio perché con gli uffici non si è trovata
altra soluzione il sottosegretario Mantovano, con encomiabile rispetto
per il Parlamento, ha fatto salti mortali per trovarsi qui oggi.
Quindi, devo ringraziarlo e scusarmi con lui proprio perché ha fatto il
possibile.
Intendo introdurre questo tema con assoluta mancanza di ogni forma
preconcetta di contrasto a ciò che sta facendo il Governo e soprattutto
il sottosegretario Mantovano che si sta occupando da anni di questo
tema. Chi di noi si è occupato di giustizia conosce bene il tema dei
testimoni di giustizia, quindi mi limiterò ad alcune brevi
osservazioni.
Qual è la premessa?
È una riflessione in Parlamento sulla questione se il ruolo del
testimone di giustizia sia ancora un ruolo ritenuto importante dallo
Stato, se al cittadino convenga fare il testimone di giustizia, se il
cittadino, che rispetta le leggi e si fa carico di riferire
all'autorità giudiziaria o comunque all'autorità ciò di cui viene a
conoscenza rispetto ad altri cittadini che non rispettano le leggi, sia
sufficientemente tutelato per questo, e se e cosa possa fare il
Governo, il Parlamento, le istituzioni tutte per venire incontro a
quelle persone che, facendo il loro dovere, ne pagano le conseguenze.
È un tema importante, è un tema che oggi poniamo all'attenzione con
riferimento ad un caso specifico, quello di Pino Masciari, di cui
parleremo a breve, ma in relazione al quale non vorrei che questa
discussione si esaurisse con la trattazione del caso specifico, perché
credo che questo tema meriti attenzione. Vi sono, infatti, situazioni
delicatissime denunciate da coloro che sono testimoni di giustizia.
Ricordo a me stesso - non certo al sottosegretario Mantovano che credo
sia uno di quelli che ha contribuito a scrivere la norma in materia -
che ci si riferisce non ai collaboratori di giustizia, seppure la
normativa sui testimoni di giustizia equipara la loro posizione,
rispetto alla giustizia, ai collaboratori di giustizia. Di fatto è
così; possiamo discuterne come ci pare, ma ai fini delle tutele, dei
benefici e degli interventi, collaboratori e testimoni vengono visti
allo stesso modo. Invece, sappiamo bene che il testimone non è colui
che, dopo aver commesso il fatto, con atto di resipiscenza operosa si
attiva, ma è colui che, senza aver fatto parte di organizzazioni
criminali - dice espressamente la legge n. 45 del 2001 - anzi essendone
a volte vittima, come esplica ancora la legge, ha sentito il dovere di
testimoniare per ragioni di sensibilità istituzionale e rispetto delle
esigenze della collettività, esponendo se stesso e la sua famiglia alla
reazione degli accusati e alle intimidazioni della delinquenza. Mica è
uno qualsiasi questo testimone di giustizia.
Per intenderci vorrei ricordarne qualcuno, anzi forse mi basterebbe
ricordare una sola testimone di giustizia, una diciassettenne - credo
che il sottosegretario Mantovano la ricordi bene anche lui - Rita
Atria. È una ragazza che nasce da una famiglia mafiosa, a undici anni
perde il padre, nel senso che il padre viene ucciso dalla mafia perché
è un mafioso della famiglia di Partanna; lei è una ragazzina e il padre
è un mafioso. Lei a questo punto si lega al fratello Nicola e alla
cognata Piera Aiello, e ovviamente anche il fratello Nicola fa parte
della famiglia mafiosa. Nel giugno del 1991 uccidono anche il fratello.
Si ritrova così a diciassette anni senza arte né parte e le due donne
non sanno da chi andare e vanno da una persona che cominciano da subito
a chiamare zio: è Paolo Borsellino. Questi raccoglie tutte le loro
testimonianze perché Nicola si fidava della moglie e della sorella e ha
raccontato loro tutto ciò che faceva insieme al padre e tutto ciò che
faceva quella famiglia mafiosa di Partanna. Loro si affidano a questo
zio, che sarà ucciso. Lei, disperata, una settimana dopo la bomba di
via d'Amelio si uccide a Roma, dove viveva in segretezza.
Ricordo che la cognata disse queste parole, ricordando Paolo
Borsellino: «Dopo la morte di zio Paolo mi sono scontrata con una
realtà paradossale: oltre alla mafia dovevo combattere con i funzionari
e gli apparati dello Stato per ottenere il mio diritto ad essere
cittadino. Per anni ho subito bugie su bugie, umiliazioni su
umiliazioni, sopraffazioni su sopraffazioni, macchine da tribunale
sempre pronte a partire e ad arricchire verbali di interrogatori.
Insomma, servivamo soltanto per riempire verbali di interrogatorio. Non
persone, non cittadini, non pesi da trascinarsi, piuttosto pesi che di
tanto in tanto vengono tirati fuori dagli armadi, vengono rispolverati
con una telefonata ipocrita da parte di qualche funzionario dello
Stato, poi il silenzio che uccide le speranze, lo spirito, la voglia di
vivere, quel silenzio e quella solitudine che, secondo me, hanno spinto
la mia cara cognata, Rita Atria, a spiccare il volo verso la libertà
senza vincoli, la morte».
Questi sono i testimoni di giustizia: persone che mettono concretamente
a rischio loro stessi per aiutare lo Stato a combattere la criminalità.
Lo Stato ha approvato una legge molto chiara, la legge 13 febbraio
2001, n. 45, che afferma molti principi. Stabilisce che ........
devono esservi misure di protezione fino all'effettiva cessazione del
servizio e del pericolo per sé e per i familiari. Quindi, una
protezione vera, reale ed effettiva. Dice che vi devono essere misure
di assistenza anche oltre la cessazione di questo pericolo e interventi
per dare un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello
che esisteva prima per quanti si sono recati dalla giustizia. Afferma
appunto che vi devono essere una serie di interventi anche finanziari
per mettere queste famiglie in condizione di vivere. Insomma, tutto
sommato, la legge cerca di venire incontro a tutto questo e
all'articolo 12, introducendo l'articolo 16-ter nella legge 15 marzo
1991, n. 82, chiude con una norma quadro: se lo speciale programma di
protezione include il definitivo trasferimento in altra località, il
testimone ha diritto ad ottenere tutte quelle stesse speranze di vita
che aveva prima.
Dunque, oggi, quale questione vogliamo introdurre parlando del caso
Pino Masciari, di cui vogliamo discutere, ma è soltanto l'occasione?
Vogliamo cercare di dialogare con il Governo - ripeto, sottosegretario
Mantovano, non è per criticare il Governo ma per dialogare con il
Governo, per confrontarci con il Governo - per vedere se si può fare
qualcosa di più e di meglio rispetto a ciò che si è fatto in questi
anni perché non c'è testimone di giustizia che sia rimasto soddisfatto
di aver fatto il suo dovere. Ogni persona che ha fatto il suo dovere
(ho un elenco, ma non voglio leggerlo perché non voglio apparire
patetico) dopo aver fatto il testimone di giustizia si è ritrovata a
fare la fine del - come si dice dalle mie parti - «cornuto e mazziato».
Lei sa meglio di me, sottosegretario Mantovano, che non molto tempo fa
a Castel Volturno ne è stato ammazzato uno che, facendo il testimone di
giustizia, ha riferito tanti fatti che servivano allo Stato, dopodiché
lo Stato ha revocato la sua protezione e poco tempo fa Domenico
Coviello è andato in paradiso.
Dunque, ritengo che dobbiamo trovare un sistema per fare in modo che
queste persone si sentano protette dallo Stato. Lei, l'altro giorno, il
6 ottobre, a Palermo, ha detto una cosa importante. È un'affermazione
che forse qualcuno le ha contestato ma io credo che lei abbia ragione.
Lei ha detto che il Governo proporrà l'introduzione di sanzioni
all'imprenditore che gestisce apparati pubblici e non segnala la
pressione delle cosche. Ha detto inoltre che intendete farlo con un
emendamento al cosiddetto pacchetto sicurezza.
In altre parole voi dite all'imprenditore: «Caro signore, se qualche
mafioso ti avvicina tu non devi più fare solo il testimone di giustizia
se vuoi, lo devi fare obbligatoriamente, altrimenti ti vengono revocati
gli appalti, avrai la risoluzione dell'appalto e vieni interdetto
dall'attività di impresa». Guardi che è durissimo quello che sta
dicendo lei, ma credo che abbia ragione, perché è l'unico modo per
contrastare la mafia. Noi in Parlamento ci confronteremo su questo
emendamento, quando lo presenterà. Noi dell'Italia dei Valori non
vogliamo opporci a questo emendamento, ma vorremmo che fosse aggiunto
qualcosa in più: ossia evitare che quelli che fanno il loro dovere non
si trovino in braghe di tela, perché questo è il dramma.
Se prendiamo il caso di Pino Masciari, si può condividere o meno ciò
che ha fatto, ma certamente, da atti non miei, ma della apposita
commissione addetta al programma di protezione, ancora nel 2008 viene
riferito che Pino Masciari è a tutti gli effetti inserito nel programma
di speciale protezione e quindi è persona che è considerata a tutti gli
effetti testimone di giustizia. E non lo è perché se lo è inventato lui
o perché è stato favorito in qualcosa, ma lo è perché lo stesso
Ministero dell'interno, il 24 aprile 2008 e quindi non molto tempo fa,
scrive testualmente: «Il Masciari, imprenditore edile, ha reso un
eccezionale contributo testimoniale all'autorità giudiziaria,
consentendo la disarticolazione delle pericolose aggressioni criminali
che si erano rese responsabili di continue estorsioni e vessazioni nei
suoi confronti. Tali fatti hanno determinato una rilevante esposizione
debitoria del Masciari (...)».
Con questo voglio dire che ci troviamo di fronte ad un altro testimone
di giustizia, come tanti testimoni di giustizia, e Masciari è per me
solo un'occasione per parlare di un tema importante, per vedere se si
può trovare una soluzione a tutto ciò. Orbene, nel caso di Masciari il
19 settembre, poi ribadito anche il 2 ottobre, la commissione ha
deciso. Masciari ha chiesto l'accompagnamento e la scorta per i suoi
viaggi, ma ha chiesto l'accompagnamento e la scorta per i suoi viaggi
non per motivi di giustizia, ma perché vuole andare a fare cose sue: in
questo caso voleva andare a fare convegni all'università per spiegare
ai giovani il dovere, oltre che il diritto, di rispettare la legge e il
dovere civico di denunciare le angherie e le superbie che si possono
fare da parte della criminalità mafiosa, e quindi andava a fare anche
qualcosa di nobile. Rispetto a tutto ciò gli è stato risposto che gli
veniva concessa la possibilità di essere assistito, ma poi il teste
avrebbe potuto in ogni caso effettuare spostamenti in piena autonomia.
Per il resto, le sue istanze di essere scortato non sono accolte. Qui
c'è un problema: se noi decidiamo che il testimone di giustizia è tale
soltanto quando ci serve, se nei confronti di coloro che fanno il loro
dovere li accompagniamo, li tuteliamo, offriamo loro il cappuccino la
mattina solo quando devono andare in tribunale e non quando devono
vivere una vita normale, poi è difficile dir loro nello stesso tempo:
«Però, se sbagli, ti ritiro l'appalto, ti tolgo il contratto e non puoi
fare più l'imprenditore». Diventa difficile tutto ciò.
Ripeto: signor sottosegretario Mantovano, sarebbe davvero ingiusto
criminalizzare questo Governo o dire che altri Governi hanno fatto
meglio. È un tema vero, concreto, reale, con cui ci scontriamo tutti i
giorni, perché è davvero difficile assicurare l'incolumità a una
persona nei cui confronti la criminalità mafiosa ha deciso di regolare
i conti. E siccome è difficile tutto ciò, dobbiamo tutti insieme
trovare una soluzione. Allora la mia domanda è questa: che cosa - oltre
al fatto che, come ha detto lei, dobbiamo costringere gli imprenditori
a venire fuori e a dichiarare quanto hanno da dichiarare - possiamo
fare per dare più garanzie, per farli sentire più tranquilli e più
sereni, per far loro capire che non sono soltanto uno straccetto usa e
getta, ma che dopo possiamo fare qualcosa con loro.
In particolare, per quanto riguarda la vicenda di Masciari se sia vero
o non sia vero che c'è una discrasia tra ciò che le carte dicono che
deve essere tutelato e ciò che di fatto è: ovvero che ancora oggi
Masciari è senza scorta quando si sposta non per motivi di servizio.
Signor sottosegretario, so che mi dirà che non è così. Prima di dirlo
però - la prego - insieme a me, se vuole, di usare il videotelefonino
per vedere dove si trova Masciari, in questo momento, senza scorta: in
Calabria, dove nessuno lo sta scortando (Applausi dei deputati del
gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE: Il sottosegretario di Stato per l'interno, Mantovano, ha facoltà di rispondere.
ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor
Presidente, benché non riguardi l'interpellanza in esame, sento il
dovere di far presente alla Presidenza e ai firmatari di altri atti di
sindacato ispettivo per la giornata di oggi, alcuni impegni
istituzionali, ovviamente documentabili. Facevo prima accenno
all'onorevole Di Pietro al disegno di legge sulla sicurezza: c'è
infatti la necessità oggi, in sede di Presidenza del Consiglio, in
coincidenza con la scadenza dei termini per la presentazione degli
emendamenti, di coordinare la presentazione dei medesimi. Io non avevo
dato disponibilità alla mia presenza e in tal senso avevo concordato
con l'onorevole Di Pietro un rinvio della sua interpellanza. Le cose
sono andate diversamente e la mia disponibilità, purtroppo, pur essendo
di massima costante - come, credo, gli atti parlamentari dimostrano -
deve limitarsi alla sua interpellanza. Ciò non significa assolutamente
mancare di rispetto a chi ha presentato altri atti di sindacato
ispettivo. Intendo ricordare che in questo momento il Ministro
dell'interno - che ha risposto comunque su queste vicende nelle linee
generali nel corso della giornata di ieri - è al Consiglio dei ministri
di Napoli; altri due colleghi hanno altrettanti impegni seri e
istituzionali. Io mi trovo pertanto in queste condizioni e devo
ringraziare il collega Menia per la sua presenza nelle risposte.
Vengo alla interpellanza in oggetto. Uno dei limiti principali della
legge 13 febbraio 2001, n. 45, che in quegli anni aveva disciplinato il
sistema delle protezioni, è stato quello della mancata distinzione tra
i collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti) e i testimoni
ovvero fra chi, al di là dei drammi interiori, ha commesso delitti e
punta ai premi derivanti dalla collaborazione e chi, da persona onesta,
non può e non deve subire danni per le dichiarazioni che rende su gravi
fatti criminali. Il risultato è stato che, per troppo tempo, circa un
decennio, i testimoni di giustizia sono stati considerati alla stregua
dei cosiddetti pentiti, con profonde ferite della dignità personale
unitamente a gravi disfunzioni operative.
Ritengo - e ringrazio l'onorevole Di Pietro per averlo ricordato - di
aver avuto una minuscola parte nella modifica di questo sistema: ho
infatti redatto, nel corso della tredicesima legislatura, per la
Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e delle
altre associazioni criminali similari, una relazione sui testimoni di
giustizia, approvata all'unanimità nel 1998, nella quale si
descrivevano queste anomalie, partendo dall'esame di casi concreti; ho
inoltre presentato, sempre nel corso della tredicesima legislatura, una
proposta di legge tesa al riconoscimento di un vero e proprio statuto
del testimone di giustizia, poi recepito nella legge n. 45 del 2001, di
riforma del sistema di protezione. Quella legge ha introdotto - anche
questo è stato ricordato - profonde innovazioni in materia, partendo
dal presupposto che i testimoni di giustizia non hanno soltanto un
indubbio valore processuale, dal momento che la loro parola non
necessita, a stretto rigore, di riscontri, ma hanno un valore civile
ancor più certo, soprattutto nelle aree di consolidata tradizione
omertosa, nelle quali sono rari i casi di testimoni oculari di delitti.
Proprio per questo, la legge di riforma ha differenziato in modo netto
la posizione dei testimoni da quella dei collaboratori, con le
disposizioni a tutti note. La legge è poi stata seguita, nel 2004, da
un decreto ministeriale di attuazione. Dall'ottobre 2001 fino al maggio
2006 e poi a partire dal luglio 2008, sono chiamato quotidianamente ad
applicare queste norme quale presidente della commissione sui programmi
di protezione. Nel periodo intermedio tale compito è stato svolto
dall'onorevole Minniti, quale viceministro dell'interno. Vorrei
ricordare questo per sottolineare l'assoluta continuità: non si parla
di questo o dell'altro Governo, si parla dello Stato e della sua
posizione nel confronti dei testimoni di giustizia. In tale veste posso
dire, con assoluta serenità - ma cercherò di documentarlo con dati
oggettivi - che nell'atto di sindacato ispettivo vi è una serie di
inesattezze.
Per cominciare non risponde al vero che, come si scrive
nell'interpellanza, la delibera che assegna le condizioni di protezione
e mantenimento deve essere accettata, pena il decadimento di tutti i
diritti di protezione. I diritti e i doveri derivanti dalla condizione
di soggetto protetto derivano dalla legge, non da una delibera di
commissione, e sono contenuti, come certamente l'interpellante sa,
nell'articolo 12 della legge, così come modificata nel 2001, e
nell'articolo 9 del decreto ministeriale 23 aprile 2004. Le
disposizioni contenute nelle due fonti appena enunciate vengono
trasferite nel contratto che il testimone è chiamato a sottoscrivere
all'atto dell'ingresso nel programma.
Dall'insieme di norme primarie e secondarie va detto ancora che non
risponde al vero che i testimoni di giustizia abbiano un trattamento
parificato, se non addirittura inferiore, a quello dei collaboratori di
giustizia: ci sono delle differenze importanti. Segnalo che i testimoni
di giustizia hanno accesso a mutui agevolati senza dover prestare
garanzie, in virtù di una convenzione stipulata con un importante
istituto bancario e questo non accade per i collaboratori. Hanno
facoltà di chiedere allo Stato l'acquisizione, a prezzi di mercato, dei
beni che lasciano nella località di origine se si sono trasferiti, e
anche questo non accade per i collaboratori.
Possono, inoltre, servirsi di consulenti di loro fiducia, le cui
prestazioni sono integralmente a carico del servizio centrale di
protezione, per qualsiasi problema legato alle pregresse attività
lavorative e a quelle future da intraprendere. Ricevono assegni mensili
di mantenimento di importo superiore - ma per delibera oggettiva - del
50 per cento, a parità di consistenza del nucleo familiare, rispetto a
quello dei collaboratori di giustizia, con possibilità di integrazione
maggiore in presenza di un reddito pregresso documentato.
Godono del rimborso delle cure mediche, comprese quelle odontoiatriche,
effettuate in regime privatistico, di contributi straordinari relativi
al tenore di vita preesistente, rimborso vacanze, acquisto testi e
attrezzature scolastiche e della possibilità, come è giusto che sia, di
visionare preventivamente gli alloggi scelti per loro dal servizio
centrale di protezione che sono sempre di livello almeno pari a quello
occupato nella località di origine. Possono, inoltre, fruire, a
richiesta, di colloqui di orientamento e sostegno con i direttori
tecnici psicologi del servizio centrale di protezione e del
risarcimento del danno biologico, in merito all'accertamento del quale
vige da tempo una convenzione con il servizio medico legale dell'INPS.
Dall'approvazione della legge 13 febbraio 2001, n. 45 si è molto
lavorato sul terreno del reinserimento socio - lavorativo del
testimone, nella consapevolezza che esso non può prescindere, così come
prescrive la legge, dal tenore di vita e dal tipo di attività che ha
preceduto l'ingresso nel programma di protezione.
Il discorso è relativamente più agevole quando il testimone, in
precedenza, aveva svolto un lavoro autonomo, per esempio aveva gestito
un esercizio commerciale o aveva condotto una azienda, mentre presenta
aspetti più problematici nelle ipotesi in cui l'attività antecedente
alla deposizione era alle dipendenze dei privati, ma anche da questo
punto di vista si è lavorato per reinserire chi aveva questa condizione
pregressa.
La trattazione dei singoli casi riguardanti i testimoni è avvenuta e
avviene col coinvolgimento attivo degli stessi interessati ai quali è
chiarito, nel corso delle audizioni svolte in commissione, che non
devono in alcun modo in sentirsi controparte rispetto allo Stato, bensì
protagonisti delle scelte relative al proprio futuro, contribuendo in
modo propositivo alla formazione delle decisioni che li riguardano. Le
audizioni, peraltro, permettono alla commissione di avere l'esatta
cognizione della condizione dei testimoni di giustizia e quindi di
poter adottare i provvedimenti ritenuti più aderenti alla soluzione dei
problemi rappresentati.
Sui testimoni giochiamo una partita difficile: quella della credibilità
delle istituzioni nella lotta la criminalità. La garanzia di un
adeguato futuro ai testimoni e alle loro famiglie è in grado di
incoraggiare altri a non avere remore nel riferire quanto è a propria
conoscenza alle forze dell'ordine e all'autorità giudiziaria. Obiettivo
primario, peraltro, è consentire il più possibile, se ovviamente il
testimone lo desidera o lo chiede, la permanenza nel luogo di origine
attraverso adeguate misure delle quali, in ogni caso, va sempre
verificata la possibilità.
Attualmente il numero dei testimoni protetti in loco è in totale di
ventuno: non c'erano prima della legge 13 febbraio 2001, n. 45. Dodici
si trovano in Campania, quattro in Calabria, tre in Sicilia e due in
altre regioni.
Questo, a mio avviso, rappresenta un segno di vittoria dello Stato in
tutti questi casi specifici, pur nelle obbiettive difficoltà di tutela,
perché quando un testimone viene ammesso al programma, la sua
protezione, con il trasferimento in una località protetta, è garantita
dalla mimetizzazione. Si porta il testimone a mille chilometri di
distanza in un luogo dove nessuno, perlomeno in teoria, lo conosce.
La protezione in loco, dove invece è conosciuto, richiede un meccanismo
di tutela imponente per uomini (scorta per più turni) e per mezzi
(spesso anche impianti articolati e complessi di video sorveglianza).
Tuttavia, si affronta questo tipo di sacrificio perché va nella
direzione di garantire il minor disagio possibile al testimone, ma
anche di trasmettere un messaggio di forte presenza dello Stato che non
costringe chi collabora per l'accertamento dei fatti delittuosi ad
allontanarsi e a lasciare il luogo d'origine.
Intendo, più in generale, ricordare un solo dato relativo proprio
all'applicazione della nuova legge. Si tratta del dato relativo alle
nuove ammissioni a programma di testimoni di giustizia dal momento in
cui è iniziata l'applicazione della legge n. 45 del 2001. Nel periodo
compreso tra il secondo semestre 1996 e il primo semestre 2001, quindi
prima che entrasse in vigore la suddetta legge n. 45, i nuovi testimoni
ammessi al programma furono complessivamente ventisette, in media poco
più di cinque all'anno.
Dal secondo semestre 2001, ossia da quando è operativa la nuova legge,
fino ad oggi, vi sono state 116 nuove ammissioni, con una media di più
di sedici all'anno e cioè più del triplo rispetto a prima del varo
della legge n. 45 del 2001, a dimostrazione del successo delle nuove
disposizioni. Grazie a Dio, ma soprattutto grazie a chi ha lavorato -
in particolare tra le forze di polizia - per l'attuazione della nuova
legge, viviamo tempi ben lontani da quelli della giovane Rita Atria che
lei prima ha ricordato.
Veniamo ora a trattare l'argomento relativo a Giuseppe Masciari. Egli
viene ammesso al programma di protezione, con delibera della
commissione centrale, il 17 marzo 1998, su proposta della Direzione
distrettuale antimafia di Catanzaro. Nel programma erano inclusi la
moglie e i due figli minori. L'imprenditore edile aveva riferito, in
qualità di testimone, di essere stato oggetto di estorsioni che gli
avevano provocato una grave esposizione debitoria, anche per effetto
dei prestiti usurari contratti nei confronti di appartenenti a
organizzazioni criminali, ai quali era stato costretto a rivolgersi.
Tale situazione debitoria aveva provocato il dissesto della sua impresa
e, quindi, la dichiarazione di fallimento nell'ottobre del 1996.
Non risponde al vero che è mancato il sostegno per l'inserimento
lavorativo della moglie di Masciari, odontoiatra. Ella, infatti, ha
ricevuto, poco dopo l'ingresso nel programma, un contributo pari a lire
(all'epoca vi erano le lire) 388.631.000, oltre alle spese necessarie
per il trasferimento delle attrezzature di lavoro. Tale contributo è
stato incassato e mai utilizzato secondo la destinazione, nonostante la
legge preveda che esso debba essere impiegato e che l'impiego debba
essere documentato. Ella ha, altresì, rifiutato di lavorare presso una
ASL, lavoro che le era stato procurato, e ha altresì rifiutato un
impiego in uno studio privato e una collaborazione di odontoiatra con
un docente universitario.
Non risponde al vero che è mancato il sostegno per il reinserimento
lavorativo di Masciari. È vero il contrario. Proprio al fine di
permettere il pieno reinserimento nella vita economica e sociale, la
commissione ha anzitutto acquisito elementi che provassero il
collegamento tra l'estorsione e l'usura subita e il precipitare della
sua condizione fino al fallimento. Tali elementi in origine erano
assenti. Inoltre, ha puntato ad articolare una via d'uscita al
fallimento in assenza della quale il pregiudizio a suo danno derivante
dalle inibizioni collegate allo status di fallito avrebbe precluso ogni
seria ripresa di attività.
Ciò ha impegnato la commissione in un lungo e complesso lavoro di
audizioni e di contatti fra i vari soggetti istituzionali interessati,
colmando lacune comunicative da parte di più di un ufficio giudiziario
e colmando documentazioni inadeguate da parte di Masciari.
Fra il 2001 e il 2004 la commissione ha ascoltato in audizione Masciari
per ben sette volte (per brevità evito di citare le date, ma sono
disponibile a fornirle). La commissione ha, altresì, ascoltato in
audizione il giudice delegato e il curatore del fallimento di Masciari
il 22 gennaio 2003. Il 6 ottobre 2004 ha ascoltato, sempre in
audizione, il pubblico ministero delegato a seguire i procedimenti che
interessavano Masciari quale testimone.
Benché il magistrato avesse sostenuto che il collegamento fra la
testimonianza e il fallimento non fosse munito di specifici riscontri,
tuttavia la circostanza che alcuni immobili, già intestati alla
Masciari costruzioni, fossero nella disponibilità degli imputati da lui
accusati, ha fatto propendere la Commissione per una indiretta conferma
del nesso causale tra le estorsioni subite e l'esposizione debitoria
che aveva condotto al fallimento.
Tale conclusione, lo ripeto, è stata frutto di un approfondimento
svolto dalla Commissione più che dall'autorità giudiziaria proponente.
A seguito dell'istruttoria complessa prima descritta, esito di contatti
con gli organi del fallimento, il 27 ottobre 2004 a Masciari è stata
proposta una definizione della posizione, incaricando il servizio
centrale di protezione: di porre a disposizione degli organi del
fallimento una copertura finanziaria pari a 1.293.418,60 euro per la
chiusura della procedura concorsuale mediante concordato fallimentare;
di erogare a Masciari, a chiusura (cioè dopo la procedura concorsuale e
non prima, altrimenti ci sarebbe stato l'assorbimento dal passivo
fallimentare) della capitalizzazione delle misure di assistenza
economica nella misura massima prevista dalle determinazioni
riguardanti i testimoni di giustizia. In base al decreto ministeriale
la capitalizzazione può avvenire da un minimo di due anni di assegno
mensile di mantenimento (con tutte le integrazioni, locazioni eccetera)
fino a un massimo di dieci anni, ed è stata proposta la misura massima
per un totale di 267.400 euro; di erogare a Masciari e alla moglie, a
chiusura della procedura concorsuale, le somme determinate a titolo di
danno biologico risultanti dalla perizia medico legale dell'INPS,
eseguita su incarico della Commissione, sulla base delle tabelle del
tribunale di Roma secondo gli indici ISTAT, pari rispettivamente a euro
18.870 per Masciari e 29.670 per la moglie; di fare salvi gli effetti
della delibera del 23 marzo 2000, in quanto finalizzata alla
realizzazione del reinserimento sociale della moglie di Masciari e,
quindi, di mantenere a suo favore il contributo straordinario all'epoca
erogato di 388.631.000 lire oltre a quelli necessari per il trasporto e
il montaggio delle attrezzature; di prorogare, nelle more della
definizione della procedura concorsuale, il programma speciale di
protezione nei confronti di Masciari e del suo nucleo familiare per
ulteriori cinque anni a decorrere dal marzo 2000 (siamo all'ottobre del
2004), fatte salve le ulteriori determinazioni.
La Commissione non si pronunciava sul mancato guadagno di cui
all'articolo 16-ter della legge sui collaboratori di giustizia,
ritenendo gli elementi informativi acquisiti, in assenza di un valido
contributo anche da parte dell'interessato, insufficienti per pervenire
alla valutazione; l'accertamento, però, limitatamente a tale aspetto,
veniva demandato al commissario per il coordinamento delle iniziative
antiracket e antiusura, organo competente in merito alla concessione
delle provvidenze relative. Quindi, non vi era un rifiuto a considerare
tale aspetto (il mancato guadagno), ma un rinvio all'autorità
competente, peraltro più volte presente in Commissione per esaminare
congiuntamente alla commissione il caso e, quindi, a conoscenza, in
dettaglio, dello stesso.
Contro questo provvedimento Masciari e la moglie hanno presentato
ricorso al TAR del Lazio e il TAR del Lazio fino ad oggi non si è
pronunciato. Tale pendenza giudiziaria - credo che vada sottolineato -
non ha causato nessun danno a Masciari, il quale è rimasto nella
pienezza del programma assistenza e protezione, in attesa della
definizione del giudizio.
Concludendo sul punto, il reinserimento di Masciari sarebbe avvenuto
già da quattro anni se lo stesso Masciari non avesse rifiutato,
impugnandola, la delibera della Commissione che riportava le voci prima
elencate; e sarebbe avvenuto restando impregiudicata la protezione
personale e la definizione mancato guadagno per un importo complessivo
di 1.810.069,76 euro.
Lo Stato, quindi, già da quattro anni, ha proposto a Masciari,
ricevendo un rifiuto, una definizione non inferiore, lo ripeto, a più
di 1.800.000 euro. La sua posizione è stata ripresa sotto il precedente
Governo dalla Commissione presieduta dal Viceministro, onorevole
Minniti.
Risposta di Piera Aiello alla fumosa risposta dell'on. Mantovano all'interpellanza parlamentare n. 2-00162 dell'on. Di Pietro
11 ottobre 2008
Come al solito l'on. Mantovano non si sottrae al vizio delle verità
fumose. Parliamo nello specifico della risposta data all'interpellanza
parlamentare urgente n. 2-00162 dell'on. Di Pietro circa la situazione
dei Testimoni di Giustizia in cui sciorina elenchi di cose che spettano
ai Testimoni ma dimentica di dire che quei diritti sono tali solo sulla
carta. L'on. Mantovano dimentica di dare delle risposte a quella
relazione della scorsa Commissione antimafia in cui venivano denunciate
tutte le inadempienze dell'ufficio anche negli anni da lui presieduto.
Probabilmente i Testimoni non sono tutti uguali e di certo per l'on.
Mantovano persone come Piera Aiello, Pino Masciari, Ulisse, Antonio
Candela, Francesca Inga etc. sono Testimoni poco inclini ad accettare i
diritti come favori.
Ma andiamo per gradi... e soprattutto diamo la parola a chi è in grado
di smentire tutti i bei propositi raccontati dall'on. Mantovano. Perché
in Italia lo sappiamo tutti esistono le leggi a tutela ma c'è chi le
calpesta regolarmente sentendosi autorizzato da un potere supremo che
non si capisce da chi gli sia mai stato conferito.
La parola a Piera Aiello:
On. Mantovano, innanzitutto desidero informarla che non siamo per
niente "ben lontani" da quando c'era l'Alto Commissariato, perché siamo
certi che Rita Atria si sarebbe uccisa anche oggi. Non è cambiato il
trattamento umano (siamo sempre oggetti da "gestire", se lo ricorda il
nostro non certo sereno colloquio in Commissione? Se lo ricorda? Cercai
di spiegarle le nostre difficoltà e lei mi rispose che la Commissione
non era un centro di ascolto. Se lo ricorda di quando le chiesi con che
metro di valutazione venissero liquidati i Testimoni e le dissi che ero
disposta a portarle degli esempi concreti di Testimoni liquidati dal
suo ufficio con benefici che mai la sottoscritta ha avuto il piacere di
godere? Si ricorda la sua risposta? Purtroppo non la posso scrivere
perché non l'avete verbalizzata e non ho le prove anche se ho i
testimoni (per esempio il mio avvocato).
Le risponderò per gradi.
Lei dice per esempio: "Segnalo che i testimoni di giustizia hanno
accesso a mutui agevolati senza dover prestare garanzie, in virtù di
una convenzione stipulata con un importante istituto bancario e questo
non accade per i collaboratori. Hanno facoltà di chiedere allo Stato
l'acquisizione, a prezzi di mercato, dei beni che lasciano nella
località di origine se si sono trasferiti, e anche questo non accade
per i collaboratori"
Di questa legge io ne ho usufruito in parte, cioè avete predisposto la
concessione del mutuo ma al momento non avete ancora trovato (per
difficoltà a me sconosciute) le modalità per erogarmelo (cioè fumo).
E dice anche: "Dall'approvazione della legge 13 febbraio 2001, n. 45 si
è molto lavorato sul terreno del reinserimento socio - lavorativo del
testimone, nella consapevolezza che esso non può prescindere, così come
prescrive la legge, dal tenore di vita e dal tipo di attività che ha
preceduto l'ingresso nel programma di protezione.
Il discorso è relativamente più agevole quando il testimone, in
precedenza, aveva svolto un lavoro autonomo, per esempio aveva gestito
un esercizio commerciale o aveva condotto una azienda, mentre presenta
aspetti più problematici nelle ipotesi in cui l'attività antecedente
alla deposizione era alle dipendenze dei privati, ma anche da questo
punto di vista si è lavorato per reinserire chi aveva questa condizione
pregressa. La trattazione dei singoli casi riguardanti i testimoni è
avvenuta e avviene col coinvolgimento attivo degli stessi interessati
ai quali è chiarito, nel corso delle audizioni svolte in commissione,
che non devono in alcun modo in sentirsi controparte rispetto allo
Stato, bensì protagonisti delle scelte relative al proprio futuro,
contribuendo in modo propositivo alla formazione delle decisioni che li
riguardano. Le audizioni, peraltro, permettono alla commissione di
avere l'esatta cognizione della condizione dei testimoni di giustizia e
quindi di poter adottare i provvedimenti ritenuti più aderenti alla
soluzione dei problemi rappresentati.
Sui testimoni giochiamo una partita difficile: quella della credibilità
delle istituzioni nella lotta la criminalità. La garanzia di un
adeguato futuro ai testimoni e alle loro famiglie è in grado di
incoraggiare altri a non avere remore nel riferire quanto è a propria
conoscenza alle forze dell'ordine e all'autorità giudiziaria. Obiettivo
primario, peraltro, è consentire il più possibile, se ovviamente il
testimone lo desidera o lo chiede, la permanenza nel luogo di origine
attraverso adeguate misure delle quali, in ogni caso, va sempre
verificata la possibilità"
Da queste sue frasi ho capito che io non sono una Testimone perché di
tutte le belle cose da lei scritte io, mia figlia e la mia famiglia
(mio padre non lavora più da quando io ho testimoniato) non ne abbiamo
vista nemmeno l'ombra. E' vero, lei ha cercato di coinvolgermi ma il
mio ruolo è sempre stato passivo: lei decideva ed io dovevo dire sì.
Scusi ma io ho un'altra idea di "partecipazione" e di democrazia.
Insomma, onorevole Mantovano, lei può raccontare tutto quello che vuole
nelle risposte alle interpellanze ma le propongo di dire le stesse cose
in un dibattito parlamentare in cui invitate i Testimoni di Giustizia
che si sentono calpestati, offesi e annullati dalla vostra arroganza e
incompetenza. Io sono disponibile al confronto sia pubblico che nelle
sedi istituzionali.
Dal mese di agosto aspetto di essere convocata in Commissione per
parlare della mia vita. Io non esisto come Piera Aiello per voi e per
lei. Mi dice che non esisto ma mi notifica le comunicazioni con le mie
vecchie generalità (l'ultimo documento che mi è pervenuto
sull'argomento è lo stralcio del verbale di riunione del 10 settembre
2008 - Ministero degli Interni). Da anni sto aspettando che la mia casa
venga acquistata come recita la legge e voi mi avete offerto una cifra
che umilia i sacrifici miei e di tutta la mia famiglia. In tutti questi
anni nessuno di voi si è mai chiesto come ho fatto a sopravvivere. Ho
mantenuto mia figlia agli studi e ho cercato di parlarle del senso
dello stato nonostante lei stesse subendo sulla propria pelle i soprusi
del potere.
Io non attenderò a lungo la convocazione, 17 anni sono troppi, io non
mi sono uccisa perché accanto a me ho avuto i SICILIANI e gli ITALIANI
VERI. Ma io mi sono salvata perché Rita si è uccisa e quella morte deve
pesare sulla coscienza di tutti coloro che si definiscono per me
impropriamente "Stato".
Finisco dicendole che non riuscirete a far morire Piera Aiello perché
la storia e la vita delle persone non si eliminano con un atto
amministrativo. Lei una volta sosteneva che i Testimoni devono andare
nelle scuole... devo desumere che parlava solo di quei Testimoni che
lei ritiene "opportuno" vadano. Io andrò ancora nelle scuole e niente e
nessuno potrà fermare la mia voglia di gridare che sono Piera Aiello,
nata a Partanna e soprattutto DONNA LIBERA.
tratto da: www.ritaatria.it
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