di François Chesnais - 11 agosto 2011
Nella primavera del 2010 le grandi banche europee, in prima fila le
banche francesi e tedesche, hanno convinto l'Unione Europea e la BCE
che il rischio di insolvenza nel pagamento del debito pubblico della
Grecia metteva in pericolo il loro bilancio. Le banche hanno richiesto
di essere messe al riparo dalle conseguenze della loro stessa gestione.
Le grandi banche sono state aiutate nell'autunno 2008 al momento del fallimento della banca Lehman Brothers a New York, che ha portato al parossismo della crisi finanziaria. Sin dal giorno del loro salvataggio, esse non hanno purgato dai loro bilanci i titoli tossici.
Hanno anzi continuato a fare investimenti ad alto rischio. Per alcune, il minimo rischio di insolvenza significherebbe il fallimento.
Nel maggio 2010, è stato concepito un piano di salvataggio, con un
asse finanziario e un asse di bilancio pubblico, che prevedeva una
drastica austerità e privatizzazioni accelerate, forte diminuzione
delle spese sociali, diminuzione di tutte le remunerazioni dei
funzionari e riduzione del loro numero, nuovi attacchi al sistema
pensionistico - sia esso un sistema per capitalizzazione o per
ripartizione. I primi paesi ad aver applicato questo piano, come la Grecia e il Portogallo, sono stati presi in una spirale infernale, di cui le classi popolari e i giovani sono stati le vittime immediate.
Questa spirale avvolge di mese in mese un numero sempre più importante
di paesi in Europa occidentale e mediterranea, dopo che aveva devastato
i paesi baltici e balcanici. Tocca ai lavoratori, ai giovani e alle
classi popolari più fragili vedersi imposto il costo del salvataggio
del sistema finanziario europeo e mondiale.
Abbiamo bisogno delle banche nella loro forma attuale? Serve continuare a salvarle?
Due
serie d'idee strettamente intrecciate ci vengono servite, sfumature a
parte, dal governo [francese, ndr.] come dai dirigente dell'Ump
[partito di Nicolas Sarkozy, ndr], del partito socialista e dai partiti
cosiddetti centristi. La prima serie di idee riguarda il debito
pubblico, la seconda le banche. I "sacrifici" chiesti sul piano delle
pensioni, del gelo della rivalorizzazione dei salari nella funzione
pubblica, i nuovi tagli drastici nel budget dell'insegnamento, etc.
etc. sono tutti necessari, ci dicono, affinché "il debito della Francia
venga onorato". Bisogna evitare pure che la Francia perda la sua nota
AAA, che le viene accordata dalle agenzie di rating, e che sia
obbligata a pagare degli interessi sul debito pubblico più elevati di
quelli che paga attualmente. Per quanto riguarda le banche, esse
ricoprono un ruolo indispensabile e lo svolgono bene, o almeno in
maniera sufficiente: e questo rende legittimo e necessario venir loro
in aiuto ogni volta che lo domandano.
L'ingiunzione di "onorare il debito" così come quella di aiutare le banche poggiano entrambe sull'idea che in gioco ci siano somme di denaro frutto del risparmio paziente, accumulate con il duro lavoro, che sarebbe state prestate. "La maggior parte degli economisti" scrive uno specialista del credito che lavora negli Stati Uniti "pensa che le banche siano dei semplici intermediari tra i depositanti e i creditori. Un'altra maniera di esprimere questa opinione ampiamente condivisa sarebbe dire che le banche raccolgono il risparmio e finanziano gli investimenti. A partire da questa affermazione, non resta che un piccolo passo da compiere per concludere che, per poter realizzare un investimento, prima deve costituirsi un ammontare determinato di risparmio"1.
La realtà è tutt'altra. Le banche prestano denaro senza alcun rapporto con l'ammontare dei depositi e del risparmio privato che è loro affidato. Non sono mai state dei semplici intermediari. Dalla loro trasformazione in gruppi finanziari diversificati dalle operazioni transnazionali, le banche sono tutto tranne che intermediari. I profitti bancari provengono dalle loro operazioni di creazione di credito.
La loro fonte si trova nei flussi di ricchezza (valore e plus valore) provenienti dalle attività di produzione. La forma scelta cambierà a seconda del creditore. Nel caso di un'impresa, si preleva una frazione del profitto. Nel caso dei privati e delle famiglie, è una parte del loro salario o della loro pensione ad essere assorbita dagli interessi che pagano sui crediti ipotecari o sulle carte di credito. Più una banca presta, più i suoi profitti sono elevati. Nel corso degli scorsi due decenni, le banche hanno concepito dei mezzi che permettono loro di seguire questa strada. Le "innovazioni finanziarie" hanno dato nascita ad una rete molto densa di transazioni interbancarie. È a partire da queste "innovazioni" che le banche hanno potuto azionare il cosiddetto "effetto di leva", cioè un rapporto dei prestiti ai loro mezzi proprie e alle liquidità disponibili, il cui ammontare (fino a più del 30%) le mette in permanenza in situazione di grande fragilità. Le banche lo sanno, ma contano sui governi per assicurarle in qualsiasi circostanza e qualunque sia il costo sociale della rete di sicurezza, in caso estremo la socializzazione delle loro perdite.
Il FMI pubblica tutti i sei mesi pressoché
simultaneamente due grandi rapporti, uno sulle prospettive
dell'economia mondiale e un altro sullo stato del sistema finanziario
mondiale. Il primo attira l'attenzione di tutti gli economisti. Il FMI
vi presenta le sue proiezioni macroeconomiche. Si tratta insomma di un
terreno familiare. Il secondo viene letto soltanto da quelli che
accordano, nel contesto della mondializzazione commerciale e
finanziaria, un'importanza alla finanza e alle crisi finanziarie. Nel
gennaio 2011, il FMI stima già che una delle grandi incertezze della
situazione economica mondiale porta sul fatto che in Europa
"l'interazione tra i rischi sovrani e bancari si intensifica"(2).
Il
primo capitolo del nuovo rapporto sulla situazione del sistema
finanziario mondiale conferma questa previsione. Metto inoltre
l'accento sulla vulnerabilità delle banche, in particolare delle banche
europee (3). L'opinione del direttore del dipartimento dei mercati
finanziari e monetari del FMI è la seguente: "Circa quattro anni
dopo l'inizio della crisi finanziaria, la fiducia nella stabilità del
sistema bancario globale deve essere ancora ripristinata completamente". E sottolineare, per quanto riguarda le banche europee: "alcune
banche hanno ancora un effetto leva troppo importante, hanno dei mezzi
propri insufficienti, tenuto conto dell'incertezza sulla qualità dei
loro attivi. Questi bassi livelli di mezzi propri rendono certe banche
tedesche, oltre che le casse di risparmio italiane, portoghesi e
spagnoli in difficoltà, vulnerabili a nuovi choc" (4).
Il ruolo delle banche è di fornire del credito commerciale (titoli a cortissimo termine) e dei prestiti a lungo termine alle imprese per i loro investimenti. Questo ruolo è indispensabile al funzionamento del capitalismo. Lo sarebbe per qualsiasi forma di organizzazione economica fondata sulle modalità decentralizzate di proprietà sociale dei mezzi di produzione, e che presuppone il ricorso allo scambio. Il bilancio dei tre decenni di liberalizzazione finanziaria e dei quattro anni di crisi pone, in tutta la sua pienezza, il problema dell'utilità economica e sociale delle banche nella loro forma attuale. Divenute dei conglomerati finanziari, le banche hanno diritto al sostegno dei governi e dei contribuenti ogni volta che i loro bilanci sono minacciati dalle conseguenze delle loro stesse decisioni di gestione? Molte persone cominciano a dubitarne. Qualche volta lo esprimono, come ha fatto Eric Cantona [calciatore francese che ha fatto parlare di sé in Francia ed Inghilterra quando aveva lanciato un appello a ritirare i depositi bancari nel dicembre 2010], in maniere che i media non possono ignorare. Non distruggere le banche, ma appropriarsene affinché possano assolvere compiti essenziali e che sarebbero, in linea di principio, i loro, ecco la risposta che dà, tra gli altri, Frederic Lordon (5).
Verso una definizione dell'illegittimità dei debiti pubblici
La nozione di "debito odioso" è stata applicata dagli anni '80 ai debiti dei paesi del Terzo mondo. La sua possibile applicazione al debito della Grecia ha fatto discutere. Si tratta di una nozione che risale al primo dopoguerra. La prima definizione appartiene ad Alexander Sack, giurista russo e professore di diritto internazionale a Parigi: "il debito contratto da un regime dispotico (noi diremmo oggi "dittatura" o "regime autoritario") per degli obiettivi estranei agli interessi della Nazione, agli interessi dei cittadini". Il Center for International Sustainable Development dell'università McGill di Montreal ne ha dato, agli inizi degli anni 2000, una definizione abbastanza simile, più direttamente legata alla fase della finanziarizzazione contemporanea. I debiti odiosi sono "quelli che sono stati contratti contro gli interessi delle popolazioni di uno Stato, senza il loro consenso e in tutta conoscenza di causa da parte dei prestatori" (6).
Questa definizione si applica perfettamente al debito specifico che pesa in Francia su comuni, regioni e persino certi ospedali, i cui rappresentanti eletti o direttori si sono recentemente costituiti in associazione per condurre azioni giudiziarie collettive contro le banche (7).
Questi enti sono stati incitati proprio dalle banche ad acquistare dei "prodotti strutturati", destinati a facilitare con il loro rendimento elevato il finanziamento di progetti consistenti di investimento nel contesto del trasferimento delle spese dallo Stato verso le regioni. Questi titoli finanziari opachi, divenuti "titoli tossici" con la crisi dell'autunno 2008, pesano sui budget. Il fatto che siano stati acquistati mostra beninteso che il feticismo per il denaro non è esclusiva dei trader, ma ha ragione anche del giudizio dei rappresentati eletti e degli amministratori locali. Ma le banche conoscevano perfettamente i rischi che facevano correre ai loro clienti, il gioco da casinò nel quale li facevano entrare. Il supplemento di indebitamento contratto dai comuni con l'acquisto di titoli spazzatura rientra nel "debito odioso".
La nozione più ampia di debito illegittimo mi sembra corrispondere da più vicino al debito dei paesi capitalisti avanzati, in particolare quelli dell'Europa. È anche la posizione dei militanti del Comitato per l'annullamento del debito del Terzo mondo (CADTM) (8).
I fattori che sono messi in evidenza più frequentemente riguardano
le condizioni che hanno condotto un paese ad accumulare un debito
elevato e mettersi nelle mani dei mercati finanziari. Qui
l'illegittimità trova la sua fonte in tre meccanismi: delle spese
elevate dal carattere di regali fatti al capitale; un basso livello di
fiscalità diretta (imposte sul reddito, sul capitale e sul profitto
delle imprese) e la sua debolissima progressività; un'evasione fiscale
importante. Ritroviamo i tre fattori tanto nel caso della Grecia che in
quello della Francia, così come, beninteso, in tutti i paesi attaccati
oggi dai fondi speculativi e dalle banche. Parlando della Francia, il
debito è nato, a partire dal 1982, dal regalo fatto al capitale
finanziario al momento delle nazionalizzazioni del governo dell'Unione
della sinistra. La sua crescita ha sposato poi il movimento di
liberalizzazione finanziaria, la cui prima fase negli anni '80 è stata
segnata da dei tassi di interesse reali molto elevati.
(...)
Ma
l'illegittimità poggia anche sulla natura delle operazioni di
"prestito" che va "onorato", per il quale bisogna pagare degli
interessi e assicurare un rimborso. L'ingiunzione di pagare il debito,
va ripetuto, si basa implicitamente su questa idea che il denaro,
frutto del risparmio pazientemente accumulato con il duro lavoro, sia
stata effettivamente prestato. Questo può essere il caso per i risparmi
delle famiglie o dei fondi del sistema di pensione per
capitalizzazione. Non è il caso delle banche e degli hedge funds.
Quando questi "prestano" agli Stati, comprando buoni del Tesoro
aggiudicati dal Ministero delle Finanze, lo fanno con somme fittizie,
la cui messa a disposizione si basa su una rete di relazioni e di
transazioni interbancarie. Il trasferimento di ricchezza, quella che
nasce al lavoro, ha invece luogo nel senso inverso. Il debito e il
servizio degli interessi sono una componente della "pompa finanziaria",
così elegantemente soprannominata da Frederic Lordon in omaggio a Jarry
e a suo padre Ubu. La natura economica delle somme pretese è un fattore
in più per interrogarsi sulla legittimità del debito pubblico.
L'audit del debito pubblico e il suo annullamento
Il
CADTM difende da sempre la necessità dell'audit del debito come tappa
verso l'annullamento. L'audit ha per obiettivo di identificare i
fattori che permettono di caratterizzare il debito come illegittimo,
così come di identificare coloro che giustificano o quantomeno esigono
ciononostante il rimborso di una frazione di debito a certi creditori.
Non ero convinto di questa pratica finché dei militanti greci me ne
hanno mostrato la portata. Finora il solo esempio di audit sul debito
pubblico è quello realizzato nel 2007 in Ecuador. È il risultato di una decisione governativa: il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa
voleva conoscere le condizioni in cui è nato il debito del paese.
L'audit ha permesso al governo di decidere la sospensione del rimborso
del debito, costituito da titoli del debito o in scadenza nel 2012
oppure nel 2030. I banchieri, soprattutto nordamericani, detentori dei
titoli, sono stati così costretti a negoziare.
L'Ecuador ha potuto così recuperare titoli stimati a 3,2 miliardi di dollari per una somma di poco inferiore al miliardo di dollari. Uno scenario simile a quello dell'Ecuador non è concepibile in Europa. La rivendicazione di moratoria immediata e di audit preparatorio all'annullamento deve evidentemente essere indirizzata ai partiti politici al momento delle campagne elettorali. Qualche militante e forse persino qualche dirigente saranno sensibili a questa rivendicazione. Ciononostante, per sostenere questa rivendicazione non c'è altra strada che quella di comitati sul modello di quelli nati [in Francia, ndr] durante la campagna del 2005 contro il progetto di Trattato costituzionale europeo, oppure sul modello, più recente, dei comitati a difesa delle pensioni. C'è un solo paese dove un comitato nazionale è già stato creato, permettendo la formazione di comitati locali: si tratta della Grecia, dove è nato il Comitato greco contro il debito. Ecco come definisce i suoi obiettivi (9).
Audit sul debito ed esercizio dei diritti democratici
"Il
primo obiettivo di un audit è di fare chiarezza sul passato (...). Cosa
n'è stato del denaro di tale prestito, a quali condizioni questo
prestito è stato concluso? Quanti interessi sono stati pagati, a che
tasso, quale proporzione del principale è già stata rimborsata? Come è
stato gonfiato il debito, senza che esso fosse utile alla popolazione?
Quali strade hanno seguito i capitali? A chi sono serviti? Quale
proporzione è stata indebitamente appropriata, da chi e come? Come ha
fatto lo Stato a trovarsi impegnato, su quale decisione, presa a che
titolo? Come sono diventati pubblici i debiti privati? Chi si è
impegnato in progetti inadatti, chi ha spinto in questa direzione, chi
ne ha approfittato? Sono stati commessi delitti, o crimini, con questo
denaro? Perché non vengono stabilite le responsabilità civili, penali e
amministrative? (...). Un audit del debito pubblico non ha nulla a che
vedere con la sua caricatura, che si riduce a una semplice verifica
delle cifre, fatta da contabili abitudinari. I sostenitori dell'audit
invocano sempre due bisogni fondamentali della società: la trasparenza
e il controllo democratico dello Stato e dei governi da parte dei
cittadini. Si tratta di un bisogno che ha per riferimento i diritti
democratici assolutamente elementari, riconosciuti dal diritto
internazionale, benché violati costantemente. Il diritto di vigilanza
dei cittadini sugli atti di chi li governa, il diritto di informarsi su
tutto quanto concerne la loro amministrazione, i loro obiettivi e le
loro motivazioni, è intrinseco alla democrazia stessa ed è
un'emanazione diretta del diritto fondamentale dei cittadini ad
esercitare il loro controllo sul potere e a partecipare attivamente
agli affari comuni. (...) Questo bisogno permanente di trasparenza
negli affari pubblici acquisisce nell'epoca del neoliberismo più
selvaggio e della corruzione più sfrenata - senza precedenti nella
storia mondiale - un'enorme e supplementare importanza. Si trasforma in
un bisogno sociale e politico assolutamente vitale. L'esercizio dei
diritti democratici dei cittadini, considerati un tempo come
"elementari" è visto dai governanti quasi come una dichiarazione di
guerra al loro sistema da parte della "base". E naturalmente, essa è
tratta di conseguenza, in maniera molto repressiva (...). L'audit sul
debito pubblico acquista una dinamica socialmente salutare e
politicamente pressoché sovversiva. La sua utilità non può riassumersi
unicamente con la difesa della trasparenza e della democrazia nella
società: essa va molto più in là, perché apre la strada a dei processi
che potrebbero rivelarsi estremamente pericolosi per il potere
costituito e potenzialmente liberatori per la schiacciante maggioranza
dei cittadini! Effettivamente, esigendo di aprire e analizzare i libri
contabili del debito pubblico, o meglio ancora aprendo e analizzando
direttamente quei libri, il movimento per l'audit civico osa
"l'impensabile": penetra nella zona vietata, nel sancta sanctorum del
sistema capitalista, laddove, per definizione, non sono tollerati
intrusi!" (fine della citazione, ndr).
Intesa così, la
rivendicazione di audit del debito e soprattutto i suoi primi passi con
la creazione dei comitati, in quanto l'istanza popolare dove le prove
dell'illegittimità sarebbero raccolte e dibattute, costituirebbe un
formidabile strumento di "re-democratizzazione" (10).
Per i detentori del debito pubblico, la salvaguardia del piccolo risparmio
è spesso sollevata come questione importante, quando non è addirittura
l'ostacolo determinante. In realtà non pone alcun problema. Nelle
dichiarazioni d'imposta diretta, le banche calcolano quasi al centesimo
l'ammontare delle differenti forme di risparmio delle famiglie. Queste
sarebbero garantite, perché rappresentano soltanto una parte minuscola
dei "crediti" reclamati.
L'annullamento dei debiti pubblici non può
ovviamente essere una misura isolata. Qui metteremo l'accento, molto
brevemente, su due aspetti. Il primo è l'appropriazione sociale delle
banche e la loro riconfigurazione in maniera da ristabilire le funzioni
essenziali alla creazione di determinate e limitate forme di credito e
alla loro messa al servizio dell'economia. Il secondo è la
riconfigurazione della fiscalità, che deve cessare di essere un grave
peso sui salari e sulle classi popolari. I sindacati SNUI e SUD Trésor
[sindacati francesi dei funzionari delle imposte, ndr] hanno delle
proposte pronte. Altrettanto importa è l'uso che viene fatto
dell'imposta, che sia prelevata nazionalmente o localmente. Il
controllo democratico dell'uso dell'imposta è diventato puramente
formale.
Più in generale, la posta in gioco è quella definita in
questo documento greco, cioè la creazione di una dinamica politica
nella quale tutte e tutti quelli che hanno mostrato, ripetutamente, una
forte capacità di mobilitazione, vedano una campagna per l'annullamento
del debito come una lotta essenziale e che condiziona il futuro. In
Francia ma anche in tutta Europa i salariati sono confrontati alle
questioni cruciali dell'impiego e della precarietà. La soluzione passa
attraverso il controllo sociale dell'investimento. Non si può
continuare a dipendere dalle strategie di massimizzazione dei profitti
delle grandi imprese. La soddisfazione dei bisogni sociali impellenti
ha per contesto la crisi ecologica in tutte le sue dimensioni. È
indispensabile realizzare un cambiamento basato su profonde
trasformazioni nei modi tecnici di produzione nell'industria come
nell'agricoltura. Il finanziamento sarebbe assicurato dall'imposta e
dal credito bancario controllato.
La "sobrietà energetica" e la de-mercificazione ne sarebbero i
complementi. La liberalizzazione degli scambi, il cui costo ecologico è
immenso, è un fondamento del capitalismo finanziarizzato. Il controllo
sociale dell'investimento permetterebbe di riassegnare numerose
attività e accorciare le linee di approvvigionamento, di produzione e
di commercializzazione. L'annullamento dei debiti nei paesi in cui i
popoli si mobiliteranno per questo scopo, creerà così le condizioni per
una vera "uscita dalla crisi".
Cogliere l'opportunità di una lotta in un insieme di paesi
La
campagna contro il debito non si può condurre "per procura". Il popolo
greco non può condurla per tutti gli altri popoli europei. (...) Una
campagna popolare condotta dai comitati per una moratoria immediata e
l'audit del debito preparerebbe il movimento sociale ai prossimi
episodi della crisi finanziaria. I pubblicisti e i responsabili
politici che preconizzano oggi la ristrutturazione del debito della
Grecia e dell'Irlanda riconoscono che i rischi sottolineati dagli
avversari di questa misura sono reali. La vulnerabilità del sistema
finanziario europeo, ma anche mondiale, rende possibile una nuova
crisi. Il fallimento totale del sistema bancario non è escluso. Nei
paesi in cui il pagamento del debito sarà stato messo in discussione
dal movimento sociale, i lavoratori e giovani vedranno in maniera
diversa le questioni "politiche", vi saranno preparati, almeno in parte.
Uno
dei grandi argomenti dei difensori dell'uscita dall'euro e che coloro
che scommettono su un movimento sociale europeo inseguono una chimera.
La posta in gioco è di cogliere l'occasione per farla nascere. Diversi
paesi sono confrontati molto duramente al problema del debito. Altri lo
saranno presto o tardi.
Tutti sono sottomessi a politiche economiche e monetari
pro-cicliche. Anche la Confederazione europea dei sindacati è stata
obbligata a smarcarsi dalla Commissione europea e dalla BCE.
L'opportunità si è venuta a creare, di costruire tra i cittadini dei
paesi dell'Europa una vera unione. La soluzione progressista non è
l'uscita dall'euro. È di aiutare la convergenza delle lotte sociali e
politiche condotte oggi in ordine sparso, verso un obiettivo di
controllo sociale democratico comune dei mezzi di produzione e di
scambio, dunque anche dell'euro. "Prendere le banche"! Sì, in tutti i
paesi in cui il movimento sociale ne avrà la forza. Sì includendo la
BCE nel novero.
La campagna per l'annullamento dei debiti pubblici
europei deve accompagnarsi, beninteso, a quella per l'annullamento del
debito dei paesi del Sud, detenuto da banche e fondi di investimento
europei. Per i popoli dei paesi europei questa campagna è un passaggio
obbligato e anche un trampolino. Un passaggio obbligato poiché nessuna
politica un po' progressista sul piano sociale come sul piano economico
non può non essere condotta, né alcun grande investimento fatto, finché
l'emorragia dei servizi degli interessi continua. Un trampolino perché
qualsiasi vittoria strappata su questo terreno costituirebbe un vero e
proprio terremoto per il capitalismo mondiale.
L'annullamento dei
debiti modificherebbe profondamente i rapporti di forza politici tra il
lavoro e il capitale. Una vittoria libererebbe l'immaginazione su di un
"orizzonte delle possibilità". Quando si presenta un'occasione come
questa, non bisognerebbe coglierla?
François
Chesnais, redattore della rivista "Carré rouge", ha appena pubblicato
un libro importante, intitolato "I debiti illegittimi. Quando le banche
fanno man bassa nelle politiche pubbliche" (edizioni Raisons d'agir,
2011). Un libro pedagogico che svela i meccanismi finanziari e bancari
all'origine del debito cosiddetto sovrano. Il libro segnala pure
l'attualità di una battaglia europea per l'annullamento dei debiti
illegittimi. Nel momento in cui l'Italia si trova al crocevia di un
attacco frontale, la riflessione sulla natura illeggittima del debito
pubblico è quanto mai attuale (imq)
- Robert Guttmann, How Credit-Money Shapes the Economy, M.E. Sharpe, Armonk, New York, 1994, pagina 33.
- FMI, Global Financial Stability Report, aprile 2011, capitolo 1, tabella 1.1.
- idem
- Dichiarazioni di José Vinals citate da Martine Orange, Mediapart, 15 aprile 2011
- Frédéric Lordon, " Pas détruire les banques, les saisir!", La pompe à Phynance, blog.mondediplo.net/2010-12-02
- Vedi Global Economic Growth Report, Toronto, Luglio 2003
- "Prêts toxiques: les élus s'allient pour attaquer les banques ", Le Monde, 9 marzo 2011
- Vedi Eric Toussaint, "Face à la dette du Nord, quelques pistes alternatives", www.cadtm.org/, 19 gennaio 2011.
- Yorgos Mitralias, " Face à la dette: l'appétit vient en auditant!…" 12 aprile 2010 (www.cadtm.org/ ). L'autore è il principale animatore del comitato greco per l'annullamento del debito.
- In opposizione alla de-democratizzazione nata dal neoliberismo, vedi Wendy Brown, Les Habits neufs de la politique mondiale, trad. di Christine Vivier, Les Prairies ordinaires, Parigi, 2007, e anche Pierre Dardot e Christian Laval, La nouvelle raison du monde, Essai sur la société néolibérale, La Découverte, Parigi, 2009, pagine 457-468.
(Traduzione a cura del Mps-Solidarietà svizzero)
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