di Rino Giacalone - 9 novembre 2009
Un «furgone» che attraversa la strada di Alcamo Marina, due carabinieri che danno l’alt, vogliono vedere cosa trasporta, e scoprono che dentro ci sono strane casse. Armi.
La loro casermetta è a pochi metri, portano gli uomini trovati a bordo di quel furgone dentro la caserma per il verbale. L’indomani i due carabinieri verranno trovati morti ammazzati. Una pattuglia di Polizia che scorta il leader Msi Almirante passa da quel luogo e nota cancello e porta aperta. Nessuno degli agenti entra, tocca ai carabinieri di Alcamo fare la scoperta dei due colleghi uccisi. Si chiamavano Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo.â¨
È quella che dal 26 gennaio 1976, data dell’eccidio, è conosciuta come la strage della «casermetta» dei carabinieri di «Alcamar» (Alcamo Marina, provincia di Trapani). Le indagini sulla strage sono state riaperte da quando un ex brigadiere dell’Arma, Renato Olino, ha raccontato e confermato ai magistrati della Procura di Trapani che i condannati per quella strage con quei morti non c’entravano nulla, e l'inchiesta ripartita ha riportato i magistrati sulle tracce di «Gladio». La presenza di Gladio a Trapani è certificata nei primi anni '90, il centro "Scorpione", in ultimo affidato alla guida di un maresciallo del Sismi, Vincenzo Li Causi, morto

Oggi c’è un altro poliziotto in questa storia, che è stato sentito come teste in Procura su richiesta della difesa (avv. Maurizio Lo Presti) di due degli imputati condannati per la strage di Alcamo Marina (Vincenzo Antelli e Gaetano Santangelo): il quadro emerso per quel gennaio del 1976 è quello di un traffico di armi «compiuto da settori istituzionali deviati» (il virgolettato appartiene ad una carta della Procura di Trapani). Ha ammesso quel poliziotto che una «fonte» gli riferì la «vera storia» di quella strage. Il furgone fermato portava armi di Gladio, nella casermetta fu organizzata una messainscena, forse i carabinieri furono portati altrove e poi riportati morti all’interno. L'indomani di buon mattino, il 27 gennaio 1976 la scoperta di quei due poveracci uccisi, uno nella sua branda, l'altro nel corridoio. Dagli armadi erano spariti divise, armi e forse qualcos'altro. Per la morte dei due carabinieri furono incolpati soggetti che non c'entravano nulla: uno morto suicida pochi mesi dopo l’arresto per quella strage, Giuseppe Vesco, un altro deceduto negli anni a seguire di morte naturale, il «bottaio» di Partinico Giovanni Mandalà, due scappati in Brasile, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, e infine l’unico finito in carcere, condannato alla pena più pesante, l’ergastolo, Giuseppe Gulotta. Vesco si era autoaccusato e aveva fatto i loro nomi, indicandoli come complici. Loro si erano anche

Sono tre le indagini che ruotano attorno alla strage dei carabinieri di Alcamo Marina. Una è già andata in archivio ed è quella relativa alle torture subite dai giovani poi arrestati e condannati, almeno quelli sopravvissuti e cioè Vincenzo Ferrantelli, Gaetano Santangelo e Giuseppe Gulotta. Le rivelazioni dell’ex brigadiere Olino che all’epoca faceva parte dei gruppi antiterrorismo dei Carabinieri di Napoli, venuti apposta ad Alcamo per indagare sulla strage, hanno portato sotto inchiesta i componenti di quel «gruppo»: Elio Di Bona, Giovanni Provenzano, Giuseppe Scibilia, Fiorino Pignatella. Chiamati a rispondere davanti al pm nonostante la conclamata prescrizione si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, avrebbero potuto chiarire, spiegare cosa era accaduto. Da loro nè conferme nè smentite. Le «voci» a conferma sono state altre, quelle dei loro familiari che intercettati in questi mesi di indagini riaperte sono stati ascoltati commentare la convocazione in Procura dei loro congiunti ricostruendo la storia che conoscevano molto bene di quei poveri disgraziati fatti autoaccusare della strage. I familiari sapevano e si sono dimostrati a conoscenza anche dell’escamotage usato dai loro congiunti per far risultare come non veri i racconti sulle torture: arrivarono a cambiare l’arredamento delle stanze di una caserma dove gli arrestati erano stati sottoposti agli interrogatori "parecchio pesanti", e così quando si fecero i sopralluoghi la collocazione di camere e uffici risultò diversa da quella descritta dagli imputati che sostenevano la loro non colpevolezza. Indagine sulle torture comunque in archivio. Ma servita a far ripartire un processo di revisione, quello a favore di Giuseppe Gulotta che tornerà sotto processo davanti la Corte di Assise di Reggio Calabria. Oggi è un ergastolano in semi libertà, i suoi avvocati Pardo Cellini e

C’è poi l’inchiesta su chi ha davvero ucciso i due carabinieri. È per adesso contro ignoti. In questo procedimento è stata raccolta la testimonianza di quel poliziotto che negli anni ’90 ebbe raccontato da una «fonte» quello che era successo in realtà quel 26 gennaio del 1976. Una «fonte» attendibile che all’epoca dei loro contatti, 1993, gli fece fare altre scoperte, come il super arsenale trovato in un garage di una villetta appena fuori Alcamo, le cui chiavi erano tenute da due carabinieri, La Colla e Bertotto: una polveriera ben fornita che si sospettò essere uno dei depositi di «Gladio» che all’epoca era diventata una struttura conosciuta e non più segreta. Apuzzo e Falcetta il 26 gennaio 1976 fermarono un furgone che non doveva essere bloccato. E per questo furono uccisi perchè non venisse svelata «Gladio» che per vent’anni ancora sarebbe rimasta segreta, ma forse anche per non far svelare qualcos'altro che all'epoca stava accadendo. Il pentito di mafia Leonardo Messina ha parlato dell'uccisione dei due carabinieri inserendo la strage in contesti ancora più clamorosi, l'esistenza di un patto tra mafia, eversione e servizi deviati che avrebbe dovuto alzare il tono alla strategia della tensione. Alcamo in questi scenari ha sempre un ruolo, anni prima c'erano anche i mafiosi della famiglia Rimi di Alcamo col principe Borghese per quel colpo di Stato fermato in tutta fretta quando proprio i mafiosi siciliani erano già entrati al ministero dell'Interno. C'è un altro pentito che parla della strage della casermetta, ed è Peppe Ferro, lui si limita a dire che quelli arrestati non c'entravano nulla e la mafia alcamese lo sapeva molto bene.
La terza indagine è una faccenda riesumata di questi tempi. Riguarda la storia di un cadavere trovato negli anni 90 quasi mummificato nelle campagne di Alcamo. Un corpo senza testa. E anche qui c’è un colpo di scena che però ancora non ha preso del tutto forma. Si vocifera di possibili traffici di armi continuati nel tempo, della presenza di «polveriere» segrete tra Alcamo, Alcamo Marina e Castellammare del Golfo. Quel corpo senza testa apparterrebbe alla vittima di un conflitto a fuoco avvenuto durante uno scambio di armi. La zona è quella di Calatubo campagne tra Alcamo e Castellammare del

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