di Nicola Tranfaglia - 4 novembre 2010
Uno strano fenomeno sta accadendo in Italia. Vicende avvenute venti, trenta ma anche sessanta, settanta anni fa stanno finalmente venendo alla luce. E quel che rimane di una opinione pubblica, decimata dai conflitti di interessi e da un’opposizione parlamentare...
...al Caimano che per la maggior parte esita e balbetta come se avesse
paura di rompere i piatti in una grande chincaglieria, si chiede con
ansia sempre maggiore che cosa è veramente successo nel settantennio
repubblicano.
Se riusciremo ad esempio, in qualche mese a sapere chi sono stati i
mandanti esterni per la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, di
chi è il cadavere sepolto nel 1950 nel cimitero di Montelepre alla morte
di Salvatore Giuliano o invece alla sua fuga negli Stati Uniti per
diventare una spia della Cia, come lo era diventato sicuramente alla
fine degli anni Quaranta l’ex comandante della Decima Mas, Junio Valerio
Borghese. Come persona, si direbbe in tribunale - informata dei
fatti, per il mio antico e attuale mestiere di storico, vorrei dire che
questa ansia di sapere quel che è accaduto, di sciogliere alcuni dei
misteri che infiorano la nostra storia fa capire o dovrebbe far capire
che questo passato pesa come un macigno nella nostra vita, ci sottopone
ad incubi costanti e difficili da accantonare.

Che senso ha il fatto che uno dei più grandi banditi del dopoguerra,
come Salvatore Giuliano, non sia stato ucciso dai carabinieri, come si
volle dire ufficialmente nel luglio 1950 salvo essere subito dopo
smentiti dai testimoni, ma sia stato invece messo in una cassa e portato
con un aereo negli Stati Uniti per ritornare in Italia come agente
della Cia? E, ancora, per ritornare agli anni Novanta così misteriosi e
decisivi per le sorti della Repubblica, chi ebbe interesse a far saltare
in aria con il tritolo nel giro di due mesi i due giudici (con le loro
scorte) che si erano messi in prima linea per la lotta contro la mafia?
Il mancato riconoscimento di Narracci da parte di Spatuzza e di Massimo
Ciancimino non elimina il problema della partecipazione di uomini dei
servizi segreti militari e civili nella preparazione degli attentati di
Capaci e di via D’Amelio. E, d’altra parte, la domanda successiva di chi
vuol ricostruire quella storia rinvia ai referenti politici di quei
servizi segreti visto che non c’è dubbio che quegli agenti eseguissero
o fossero comunque in rapporto con esponenti politici di questo o quel
partito di governo. Del resto alcuni elementi di fondo sono, senza alcun
dubbio, accertati in maniera definitiva e non se ne può prescindere. Quando Salvatore Riina è stato catturato nel 1993 quali corpi dello Stato (il Ros, la polizia o chi altro?) sono intervenuti per pulire il covo del capomafia. O, a chi hanno consentito di intervenire in quella
casa e per quale ragione? E ancora: chi ha ostacolato per anni la
cattura di Bernardo Provenzano che era stato con ogni probabilità
implicato d’accordo con la polizia e con i carabinieri nella cattura di
Riina fino a prorogarne la latitanza fino al 2006? Insomma quello che
possiamo dire ormai è stato accertato sul piano storico è la presenza
continuata di rapporti tra i capi di Cosa Nostra (o alcuni di essi),
esponenti della politica nazionale e locale (di qui anche gli assassini
di Lima, di Riina, di Mattarella) e forze dell’ordine italiane?

Simili rapporti sono legati, come è ragionevole pensare, a interessi
precisi che corrono nella società italiana, oltre che in quella
siciliana e che, a quanto pare, non sono dicibili e non possono
diventare pubblici. Ma, se questo è vero e mi sembra oggi assai
difficile, se non impossibile, negarlo, le domande si affollano alla
mente di quel pezzo di opinione pubblica che ancora resiste nel nostro
paese. È possibile che, dopo centocinquant’anni di unità nazionale,
dopo essere usciti attraverso una guerra sanguinosa e una guerra
terribile sul nostro territorio nazionale da una ventennale e feroce
dittatura come quella mussoliniana siamo ancora di fronte a un governo
invisibile della cosa pubblica che sembra più forte di quello visibile, a
una complicità così estesa tra mafia e istituzioni dello Stato, a una
mancanza così totale e indifferenziata di trasparenza e di controllo
democratico sul funzionamento delle nostre istituzioni rappresentative?
Queste domande se fossi in Parlamento chiederei di rivolgere al
presidente del Consiglio Berlusconi e al ministro degli Interni Roberto
Maroni pur con scarsa speranza - devo confessare - di ricevere una
effettiva risposta.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano