di Salvatore Borsellino e Marco Bertelli - 22 ottobre 2009
Riteniamo che nel rilasciare queste dichiarazioni (qui di seguito) Rita Borsellino sia incorsa in un grosso equivoco interpretando delle parole di Paolo relative ad un documento che circolò sui giornali siciliani a partire dai primi giorni di luglio del 1992 con quello che oggi viene chiamato appunto il "papello"...
...perchè così lo chiamò Giovanni Brusca nel 1998 quando per primo, dopo l'inizio della sua collaborazione con la Giustizia, ne rivelò l'esitenza. Sempre che Paolo abbia effettivamente usato questa dizione, che in dialetto siciliano viene usata appunto per indicare un "elenco", potrebbe essersi riferito appunto a questo documento, indicato comunemente come "lettera dei corvi" o "lettera del corvo bis", della quale parliamo nel seguito e che tra le altre cose conteneva appunto anche un "elenco" di richieste. E' possibile che Paolo, che sicuramente non avrebbe mai riferito ad alcun familiare l'esistenza nè di un documento non ancora noto ad alcuno o quasi come il papello di Riina nè della trattativa ad esso relativa che tra pochi giorni sarà una delle cause della sua morte, e tanto meno lo avrebbe fatto in un momento di rilassamento nell'ambito familiare, abbia potuto fare qualche riferimento a questo altro documento dato che, essendo stato pubblicato sulla stampa, era già noto all'opinione pubblica.
Riteniamo che comunque, in ogni caso, notizie di questo genere che, se vere, potrebbero avere una enorme valenza processuale, dovrebbero essere portate da chiunque, prima di essere confidate ad un giornalista, davanti ai magistrati inquirenti. Si rischia altrimenti di confondersi, e di essere confusi dall'opinione pubblica, con tutta una serie di personaggi che, dopo 17 anni di silenzio, stanno negli ultimi tempi ritrovando la memoria perduta.
Nell'intervista rilasciata da Rita Borsellino alla giornalista Paola Pentimella Testa del quotidiano DNews (21 ottobre 2009) leggiamo le seguenti dichiarazioni:
Rita Borsellino: «Nei giorni che precedettero la sua morte Paolo mi disse che aveva sentito parlare del papello». Di trattativa? «No. Paolo mi parlò proprio di papello. Sono sicura».
Ricordiamo che a partire dai primi giorni di luglio 1992 circolò in alcuni ambienti investigativi e giornalistici siciliani uno scritto anonimo di otto cartelle che fu subito soprannominato "la lettera dei Corvi 2" e che fu inizialmente attribuito dagli esperti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ad ambienti di Cosa Nostra.
Lo scritto anonimo fu indirizzato a trentanove destinatari, giornalisti e figure istituzionali, tra le quali il Procuratore Aggiunto di Palermo Paolo Borsellino.
Gli autori del testo mettevano in relazione il delitto dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima (12 marzo 1992) con la strage di Capaci in cui furono assassinati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo ed i tre agenti di scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Di Cillo (23 maggio 1992). Secondo gli estensori del documento anonimo, gli omicidi Lima e Falcone sarebbero stati conseguenza di un accordo sciagurato stabilito tra alcuni politici siciliani della corrente DC di sinistra ed i corleonesi di Totò Riina con lo scopo di ridimensionare la corrente andreottiana sull'isola. In particolare l'on. Calogero Mannino avrebbe contattato il capo di Cosa Nostra Salvatore Riina e chiesto il sostegno elettorale dei corleonesi per alcuni candidati democristiani, garantendo in cambio una lista o "papello" di provvedimenti favorevoli all'organizzazione mafiosa tra cui la possibilità, per i latitanti, di regolarizzare la propria posizione, la garanzia di riprendere il controllo dei beni, la possibilità di gestire i futuri grandi appalti in Sicilia.
Lo scritto anonimo si rivelò essere un incrocio fra notizie palesemente false e mezze verità ed ebbe lo scopo, secondo gli investigatori della DIA, di creare discredito e fratture negli organi dello Stato intensamente impegnati nell'opera di contrasto della mafia. Il 3 luglio 1992 la paternità dello scritto fu rivendicata dalla sedicente organizzazione "Falange armata" con una telefonata alla sede palermitana dell'agenzia giornalistica ANSA.
Paolo Borsellino fu uno dei destinatari dello scritto anonimo del quale prese visione.
È non solo possibile ma anche molto probabile che il Magistrato abbia fatto riferimento nel suo colloquio con la sorella Rita pochi giorni prima della strage di via D'Amelio al "papello" o lista di benefici che, secondo gli estensori dello scritto anonimo, sarebbero stati promessi ai corleonesi di Totò Riina dai loro interlocutori politici in cambio dell'appoggio elettorale da parte di Cosa Nostra.
Non si tratterebbe dunque del "papello" che, secondo le recenti dichiarazioni di Massimo Ciancimino, sarebbe stato trasmesso nella stessa estate del 1992 da Totò Riina a Vito Ciancimino e da questi al colonnello dei carabinieri Mario Mori nel quadro del "dialogo" o "trattativa" che fu avviata alla fine di maggio 1992 dal capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno con lo stesso Vito Ciancimino attraverso il figlio di quest'ultimo, Massimo.
È infatti noto da un lato che il contenuto dello scritto anonimo di otto cartelle ebbe ampia diffusione in ambienti istituzionali e politici di Palermo.
Dall'altro lato sappiamo dalla testimonianza diretta dei familiari di Paolo Borsellino ed in particolare della moglie Agnese che il Magistrato non accennava mai in casa ai contenuti delle sue indagini e del suo lavoro.
Riteniamo pertanto altamente probabile che se Borsellino fece un riferimento in un dialogo con la sorella Rita ad un "papello" di Cosa Nostra nei giorni immediatamente precedenti il 19 luglio 1992, egli parlasse del "papello" citato nello scritto anonimo ("lettera dei Corvi 2") al quale diversi articoli di stampa avevano pubblicamente fatto riferimento.
LEGGI L'INTERVISTA A RITA BORSELLINO: "Mio fratello sapeva che esisteva il papello"
APPROFONDIMENTI
Ai primi
di luglio del 1992 un documento anonimo in otto cartelle fu inviato a
trentanove destinatari, figure istituzionali e giornalisti. Il
documento anonimo trattava principalmente dei delitti Lima e Falcone e
la sua provenienza fu attribuita dagli inquirenti della Direzione
Investigativa Antimafia (D.I.A.) ad ambienti appartenenti a Cosa Nostra.
Alcune
informazioni su questo documento posso essere reperite nel libro
"L'agenda rossa di Paolo Borsellino" (Giuseppe Lo Bianco e Sandra
Rizza, Chiarelettere, 2007) e attraverso altre fonti sulla rete:
1) FALCONE: INDAGINE SU LETTERA ANONIMA (ANSA, 1 luglio 1992)
(ANSA)
- PALERMO, 1 LUG - La procura della repubblica di Palermo ha aperto una
inchiesta su una lettera anonima di otto pagine, alcuni brani della
quale sono stati pubblicati oggi dal quotidiano catanese ''La
Sicilia'', in cui si propone un nesso tra tra i delitti Lima e Falcone.
E' un documento - puntualizza il giornale - che ''non si puo'
pubblicare integralmente perche' diffamatorio e ampiamente
querelabile''. Secondo l' anonimo citato da ''La Sicilia'', Salvo Lima
sarebbe stato ucciso nell'ambito di ''una strategia per affondare
Andreotti'' e la morte di Falcone ''va inquadrata in questo disegno
globale''. La procura di Palermo ha inviato per competenza a quella di
Caltanissetta la parte dell' anonimo in cui vengono coinvolti
magistrati del capoluogo sicilino, alcuni dei quali hanno gia'
presentato querela contro ignoti. (ANSA).
2) "L'agenda rossa di Paolo Borsellino", pag. 151
Palermo - giovedì 2 luglio 1992 - Arriva il Corvo due
Otto
cartelle, con rivelazioni sui delitti Lima e falcone, vengono
indirizzate da un anonimo estensore, subito ribattezzato il "Corvo
due", a trentanove destinatari, figure istituzionali e giornalisti.
Sull'origine del testo, che parla anche di incontri segretissimi tra
noti esponenti politici siliani e boss latitanti di Cosa Nostra, la
Procura di Palermo apre un'inchiesta. Il misterioso documento, a
giudizio degli inquirenti, ha un mittente certo: la mafia.
Questa la
convinzione dei responsabili della Dia, così come degli esperti
dell'Alto Commissariato, degli organi operativi dell'Arma dei
Carabinieri e del Servizio centrale di Polizia che sui delitti Lima e
Falcone stanno indagando.
L'intento di chi ha scritto il documento
anonimo è "creare discredito e fratture negli organi dello stato
intensamente impegnati, sia a livello locale sia centrale, nell'opera
di contrasto della mafia" afferma il colonnello Carlo Gualdi, capo di
gabinetto della DIA. "È un tentativo di intossicazione che proviene da
ambienti mafiosi - affermano all'alto commissariato - o da gruppi che
fanno l'interesse della mafia."
Del resto, ricordano alla DIA, Cosa
Nostra non è nuova a questo genere di operazioni: "La calunnia è,
assieme al tritolo, tra le sue armi usuali".
Lo otto cartelle sono
analizzate minuziosamente dagli esperti antimafia della DIA, dell'Alto
Commissariato, dei Ros e dello Sco. Sul loro contenuto, fonti dell'Alto
Commissariato commentano che: "Ci sono notizie parzialmente vere,
mescolate a menzogne palesi e altre più abilmente costruite". I
carabinieri affermano che si tratta di "illazioni ed insinuazioni che
possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti".
Palermo - venerdì 3 luglio 1992 - Falange armata rivendica l'anonimo
Con
una telefonata alla sede di Palermo dell'Ansa, la falange armata
rivendica la paternità dello scritto anonimo fatto circolare a Palermo
nel quale si parla delle future attività della mafia anche in relazione
a uomini e vicende della politica.
L'autore della telefonata dice:
"Annunciamo senza più indugi e riserve che il promemoria in otto
cartelle di impropria attribuzione fatto recapitare qualche settimana
fa è opera integrale del comitato politico della Falange armata.
Dirameremo oggi stesso al riguardo un comunicato appropriato".
Più
tardi, in serata, la Falange armata fa pervenire con una telefonata
anonima, sempre alla redazione dell'Ansa di Palermo, il comunicato
preannunciato. Nel messaggio, inciso su nastro registrato, si ascolta:
"Se questo deludente risultato hanno sortito quelle otto cartelle,
impropriamente attribuite, elaborate dal comitato politico della
Falange armata a conclusione di un ciclo aspro e difficile di lotta
politica e militare, allora vuol dire che ulteriori segnali forti,
chiari, devastanti necessariamnete si impongono."
3) Il sito www.rifondazione-cinecitta.org ed il libro "L'alleanza ed il compromesso" (Umberto Santino, 1997, Rubbettino editore)
Un
paragrafo del libro, a pag. 142, è intitolato “Un anonimo palermitano
sul delitto Lima e la strage di Capaci”. In esso si fa riferimento a un
testo anonimo che circolava a Palermo dopo le stragi del ’92 , secondo
il quale Mattarella e Mannino avrebbero deciso di ridimensionare la
corrente siciliana di Andreotti, accordandosi con Cosa Nostra. In
particolare Mannino avrebbe contattato Totò Riina e chiesto il sostegno
elettorale dei corleonesi per alcuni candidati democristiani, offrendo
in cambio la possibilità, per i latitanti, di regolarizzare la propria
posizione, la garanzia di riprendere il controllo dei beni, la
possibilità di gestire i futuri grandi appalti in Sicilia. Gli omicidi,
prima di Salvo Lima, che non aveva fatto fede agli impegni promessi, e
poi di Giovanni Falcone, che aveva individuato alcuni passaggi di
queste oscure trame, sarebbero stati il corollario dello sciagurato
accordo, che avrebbe visto coinvolti anche i servizi segreti : “secondo
l’anonimo, scrive Santino, i servizi segreti sarebbero intervenuti a
difesa del capitale mafioso, la strage di Capaci non avrebbe avuto
altro movente che l’azione di Falcone contro il riciclaggio del denaro
sporco. Le autorità giudiziarie potrebbero scoprire ogni cosa se solo
avessero la volontà e la capacità di cercare”. La citazione di alcuni
passaggi di questa lettera, che non è pubblicata nel testo integrale,
porta Santino a concludere: “Come in ogni scritto anonimo menzogne e
verità si mescolano, e come in ogni scritto anonimo proveniente più o
meno direttamente da ambienti mafiosi o in qualche modo collegabili con
essi, il testo contiene messaggi che i destinatari del documento,
specificamente indicati in un lungo elenco, dovrebbero decodificare.
Può essere un’indicazione di piste valide oppure un’accorta operazione
di depistaggio o tutte e due insieme”. Il libro si occupa ancora di
Mannino a pag. 159, nel paragrafo “Una stella caduta: l’ex ministro
Mannino”, che, dopo la caduta di Lima diventa “l’uomo più potente della
D.C. siciliana”, sino a quando, il 13 febbraio del 1995 viene
incriminato per concorso in associazione mafiosa e arrestato. Il suo
processo ha subito l’ultimo rinvio al prossimo aprile, qualche giorno
fa, in attesa che entrino in vigore i benefici della legge “Pecorella”
sull’inappellabilità: “Alla fine di questa storia, leggiamo sul “La
Repubblica” del 3 marzo 2006, il processo per mafia a Calogero Mannino
verrà chiuso presto e l’unico ad essere condannato sarà il sociologo
Umberto Santino”.
Ma torniamo ai fatti: nel 1998, circa un anno
dopo la pubblicazione del libro, Mannino cita in giudizio, per
diffamazione, Santino, sostenendo che egli faceva sue, nel libro, le
denunce dell’anonimo: il giudice unico del Tribunale di Palermo, il 15
maggio 2001 condanna Santino al pagamento di un risarcimento di 10
milioni più 5 milioni di riparazione pecuniaria per avere “diffamato”
Calogero Mannino. Santino presenta appello e, quattro anni dopo, il 7
novembre 2005, con sentenza notificata il 1° febbraio 2006, la Sezione
prima civile della Corte d’appello di Palermo rigetta il ricorso
condannando Santino al pagamento di 7.500 euro. La sentenza non ha
lasciato contento nessuno dei due contendenti, che si riservano di
presentare appello: Mannino, che forse intende appellarsi, perché ha
visto deprezzato il suo onore e ritenuta inammissibile la sua richiesta
di risarcimento di 100.000 euro più 25.000 come riparazione pecuniaria,
Santino perché ritiene che “questioni del genere in cui sono in gioco
la libertà di ricerca e d’informazione e l’onorabilità delle persone,
dovrebbero essere decise da appositi giurì d’onore e avere sanzioni
diverse dal risarcimento monetario.
E’ davvero singolare che
l’onore venga considerato come un genere da supermercato. C’è da
chiedersi inoltre quale danno sia stato arrecato a personaggi che hanno
continuato la loro carriera politica o si apprestano a riprenderla,
nonostante il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie concluse o in
corso”. E’ chiaro il riferimento al “ritorno in campo” di Mannino, che
è candidato, alle prossime elezioni nazionali nell’UDC, al numero due,
dopo Cuffaro.
La sentenza riporta alcune motivazioni facilmente
contestabili e non ci si può esimere dal sospetto che dietro di essa ci
sia stata l’intenzione di punire “politicamente” Santino per la sua
lunga attività di studioso “non di regime”: vi si legge infatti: “non
vi è agli atti nessuna prova della notorietà del testo anonimo”;
Santino è scambiato più volte per “giornalista”, gli si addebita di non
avere rispettato “il principio di verità in assenza di una definitiva
valutazione in sede penale delle circostanze riportate” e si parla solo
di “diritto di cronaca”. In pratica la ricerca storica è scambiata per
cronaca e il giudizio dello storico, secondo il quale la lettera
anonima comprendeva “verità e menzogne” viene scambiato per una
distorta opinione giornalistica. Va detto che il testo venne a suo
tempo mandato a 35 personaggi pubblici, era già stato pubblicato
integralmente su riviste come “Umanità nova (12 luglio 92),
“Antimafia,” n°2 del 1992 e sul libro di Galasso “La mafia politica”
(1993): di questi Mannino ha citato in giudizio solo Alfredo Galasso,
al quale ha chiesto due miliardi, e Umberto Santino.
(Fonte: Il caso dell’ex ministro Calogero Mannino, rifondazione-cinecitta.org, 22 ottobre 2008)
Tratto da: 19luglio1992.com
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